Così come mi vedi

di Lady Tora

 

“Antonio, per tutti Andrea

ero l’amore di mamma. Tutto girava intorno a lei. Ero il figlio perfetto: mai sporco, mai trasgressivo, mai ribelle. Se avesse saputo che le rubavo i trucchi e la biancheria intima…
Papà è morto che io ero piccolo, lo ricordo bene. Era bravo, gentile ma niente altro. Era un padre come tanti, di quelli che tornano dal lavoro, che a tavola parlano del tempo e del governo e che la sera russano davanti alla televisione. Qualche gelato la domenica, la passeggiata al parco o in centro e niente altro. È morto com’è vissuto, senza clamori. L’ha trovato mia madre, una mattina, in bagno, accasciato sul cesso. Avevo otto anni.
Lei mi ha cresciuto da sola, non si è risposata e da quel che so nel suo letto non è entrato altro uomo. Era una donna insignificante ma sempre in ordine. Non l’ho mai vista sciatta in casa. Non l’ho mai vista nuda. Non l’ho mai vista cedere. Si è consumata nella malattia e in un giorno qualsiasi dei primi di giugno è morta, lasciandomi in eredità qualche appartamento che mi permette una vita di rendita, tranquilla e asociale. In casa sono rimasti anche i suoi trucchi e pochi capi di intimo ormai quasi lisi, i vestiti e le scarpe sono stati portati via dalle zie, come ricordo, dicevano loro”.

  Andrea era l’amore di mamma e tutto girava intorno a lei. Andrea ha avuto una vita quasi normale fino al liceo, quando ogni tanto ancora riusciva a infilare la lingua nella bocca di qualche ragazza e quando durante la gita di quinto è riuscito anche a infilare altro. Poi la sua esistenza è finita lì dentro, in quelle pareti domestiche, rassicuranti e immacolate. In quella casa che non aveva subito alcun trauma del tempo, rimasta tale e quale dagli anni in cui i suoi andarono ad abitarci. Precisa e identica nella disposizione dei mobili e dei soprammobili. Coi sanitari anni ’50, le piastrelle del bagno nere e bianche e i rubinetti dai pomelli stellati. Andrea era intrappolato nella sua gabbia dorata, una capsula del tempo, ibernato nell’amore della mamma. Liberato dall’amore della mamma.
Andrea uomo solo, che vive bene grazie ai sacrifici della buonanima. Andrea, l’amore di mamma in un corpo di uomo.

I

Gli piaceva guardarsi allo specchio mentre ballava con indosso solo una vestaglia trasparente, corta e rosa, con dei piccoli fiori turchesi. Una meravigliosa vestaglia di puro acrilico, comprata al mercato del sabato, da un malizioso ambulante che occhieggiava convinto quel capo fosse per una donna.
Chissà se avesse saputo che era per lui: maschio caucasico, villoso ed etero, non grosso e non magro, non bello e non brutto. Uno qualunque in mezzo ad altri qualunque.
Gli piaceva ballare sulle note di Mother’s Little Helper, sentirsi il membro sbattergli sulle cosce gli provocava un certo piacere, come fosse la coscia liscia e calda di una bella fanciulla.
Questo rito del ballo trasgressivo -almeno secondo lui- l’aveva iniziato da ragazzino, quando prendeva di nascosto la camicia da notte nera di pizzo di sua madre e si guardava allo specchio.
Già allora si sentiva irresistibile e lo si sentiva ancora, ogni volta che riusciva a indossare della biancheria trasparente.
Certo, gli anni erano passati e quaranta su un corpo non troppo curato si vedono tutti ma a lui non importava, si sentiva bello così e, in cuor suo, sapeva che la gente lo ignorava solo per invidia.
Ballava con tutta la sensualità che aveva in corpo, si dimenava davanti allo specchio e finiva sempre allo stesso modo, lanciandosi sulla poltrona ancora coperta dalla plastica. La poltrona che la buonanima della mamma aveva conservato intonsa, vietando a chiunque di sedersi, a parte la bambola di porcellana col vestito in lana fatto da lei e un bel centrino beige sullo schienale. La poltrona del salotto, la sala buona da tenere sempre chiusa a disposizione del medico e dei parenti, che per riverenza e forse per la scomodità data dalla plastica si sedevano in punta di cuscino, con un atteggiamento quasi di imbarazzo per essere stati ammessi nella stanza più importante, dove i dolci in pasta di mandorla si mangiavano col fazzolettino di carta sotto, per non fare briciole e i calici in finto cristallo erano posizionati sui centrini sottobicchieri a forma di fiore.
Si lanciava, cadeva come corpo morto cade e sorrideva esausto, con un misto di piacere e dispiacere per la mancanza di pubblico, che sicuramente sarebbe andato in delirio guardando quel corpo sudato, quel Bronzo di Riace un po’ appesantito dalla vita sedentaria.
E che piacere dopo tanta fatica passarsi una mano sul corpo, accarezzare la pelle sudata, far scivolare le dita dai peli del petto, andando giù verso l’addome e accarezzandosi il pube, fermandosi un attimo prima dell’eccitazione vera e propria.
Faceva con se stesso il gioco della seduzione. Non c’era amante migliore e nessuno come lui sapeva cosa fare di quel bellissimo corpo.

II

Il momento migliore della giornata è quello della colazione, quel religioso rito della preparazione del pasto più importante. Lo dicono i dottori, mica lui!
Tirare la linguetta per sollevare la parte in alluminio dello yogurt, leccare con calma quello che vi si è depositato e condensato.
Fare un’espressione schifata per l’aspro che risveglia le papille gustative.
Riso soffiato, semi vari e miele. Mischiare tutto con decisione ma non troppo vigore.
Questo è un rito che si ripete da mesi, forse anni e che ormai è diventato l’inizio di ogni giornata. Senza tutto ciò si scombinerebbe.
E così accadde alle 8.45 di mattina del 27 luglio di quell’anno.
Proprio mentre stava per passare la lingua sul suo yogurt bianco magro 0.1% di grassi, ecco che sente suonare alla porta.
Avrebbe voluto ignorare ma era una cosa che succedeva così di rado che la curiosità lo portò ad aprire.

Le si parò davanti lei e, per un attimo, ebbe la sensazione di ritrovarsi davanti il suo equivalente femminile.
Lei lo scrutava con sguardo annoiato aspettando che di lì a poco il suo probabile cliente le chiedesse se avesse bisogno di qualcosa. Invece niente, non usciva il minimo suono. Non ci sapeva fare, non riusciva a rapportarsi con gli altri e la cosa per lui non era un problema: era misantropo, asociale e felice di esserlo.
Vedi te che idiota dovevo trovare stamattina” pensò lei.
Ma cercò di accennare uno schifato sorriso e partire, con la speranza di liberarsi al suo “No, grazie”.
⁃    Buongiorno, ho il piacere di passare da casa sua per farle conoscere un’offerta irripetibile per la sua signora, la linea professionale di cosmetici della Glam4You che mai troverà in negozio… “Dimmi no grazie”.
Gli si illuminò lo sguardo e più lui la guardava estasiato e più lei iniziava ad avere paura.
Decise di prendere coraggio e
–    Interessante! Mia moglie non è in casa ma potrei farle un regalo. Si accomodi e scusi la confusione…
⁃    La sua signora quindi non c’è? È un peccato perché avrei potuto illustrarle la nostra linea e fargliela provare.
⁃    Vuole provarli su di me?
⁃    Ma certo, perché no? “Perché non sono andata a pulire i cessi…”.
Sorrise (falsa!)
⁃    Si accomodi e perdoni ancora il disordine, mia moglie è fuori per qualche giorno.
Era agitato ed eccitato al tempo stesso, non era abituato ad avere gente in casa ma certe occasioni arrivano una sola volta nella vita.
⁃    Carina quella vestaglia, ha buon gusto sua moglie! “Orrore!”.
    Vero, ha buon gusto ma lascia tutto in disordine. “Proprio lì dovevo lasciarla”.

Passarono dall’ingresso al salotto, dove c’era la vestaglia ancora sul divano e si avviarono verso la cucina, parte più luminosa della casa.
⁃    Le posso fare un caffè? Io stavo facendo colazione ma fa niente, per una volta potrò saltarla.
⁃    Si figuri, mangi pure finché le illustro i nostri magnifici prodotti Glam4You.
⁃    No, sono impaziente di provare i prodotti, sicuramente sarà un regalo che a mia moglie piacerà molto.

Una manna dal cielo, di solito andava in profumeria o nei centri commerciali, comprando cose a caso perché provarle in negozio poteva destare sospetti e questo lo faceva incazzare non poco. C’è chi ama le mutande sporche, chi leccare i piedi, chi ficcarsi ortaggi in ogni dove e lui doveva nascondersi per il solo piacere innocente di vestirsi e truccarsi da donna. Che poi la minchia non gli piaceva, lui amava le donne ma come si può spiegare qualcosa che molti non vogliono capire?
Etero e amante degli abiti femminili.

L’idea di condividere la sua intimità con un altro essere vivente lo indisponeva, neanche sua madre sapeva cosa gli piacesse, figuriamoci se avesse potuto dirlo a un’estranea, che magari un giorno per vendetta avrebbe spifferato tutto e l’avrebbe messo in ridicolo. No, neanche a parlarne, l’unica persona che voleva accanto a sé era se stesso, tanto era irresistibile e lo capiva ogni volta che ballava davanti allo specchio. Fosse stato un’altra persona sicuramente avrebbe perso la testa per uno come lui, poi col trucco metteva in evidenza gli occhi e si sentiva terribilmente sensuale, doveva solo capire come non far sciogliere l’ombretto e il phard quando ballava e sudava copiosamente.
Gli sarebbe piaciuto un giorno poter uscire truccato ma aveva paura, di cosa non sapeva, ma aveva paura.

⁃    Allora, le illustro i nostri prodotti. Vuole qualcosa in particolare o le mostro la gamma completa?
⁃    Mi faccia vedere tutto e mi trucchi come fossi mia moglie.
⁃    Allora inizierò col primer. Lei è un uomo e…
⁃    So benissimo cos’è il primer!
⁃    Ah.
⁃    Sa’, vedo sempre mia moglie…
⁃    Certo…
Ma dove sono capitata…”.
⁃    Allora, sua moglie ha la sua stessa carnagione?
⁃    Sì, siamo quasi uguali, faccia su di me quel che farebbe a lei (sorride).
Mortacci mia e di quando ho risposto a quell’annuncio”.
⁃    Allora partiamo col primer, poi le metto il resto e da quel che ho capito è inutile che le nomini i prodotti uno per uno, mi limiterò a darle indicazioni su come stenderli.
⁃    Va benissimo.
⁃    Che lavoro fa sua moglie?
Che le dico adesso?”.
L’avrà ammazzata e occultata nel congelatore?”.
Provo disagio”.
Provo disagio”.
⁃    Mi scusi, mi darebbe un bicchiere d’acqua?
⁃    Certo, mi dia un attimo e poi mi dia anche del tu, non sono abituato a reggere tanto con le formalità.
⁃    Le do del tu se mi dice come si chiama, io Lucrezia.
⁃    Come Lucrezia Borgia?
E lo sapevo io…”.
⁃    No, come Lucrezia mia nonna, santa donna e sposata con lo stesso uomo da quando aveva 15 anni.
⁃    Ah, scusami, non volevo essere offensivo, anzi… comunque io sono Antonio ma preferisco mi si chiami Andrea.
⁃    Antonio e Andrea non sono simili, come mai questa scelta?
⁃    Antonio era il nonno paterno e non mi piaceva, Andrea era quello materno e mi voleva bene.
⁃    Perfetto, Andrea, ora mi passi un bicchiere d’acqua? (sorrise).
Lui si avvicinò al frigorifero per prendere dell’acqua fresca e lei in quei pochi secondi si guardò intorno.
⁃    Strano, non c’erano foto di donna intorno e neanche tracce palesemente femminili, a parte quella vestaglia, un reggiseno appeso all’attaccapanni e tracce di rossetto su una tazzina usata.
E se sono in casa di un serial killer? Cazzo…”.
Appena finito di truccarlo lo guardò per qualche attimo con grande soddisfazione. Quei lineamenti anonimi e banali si prestavano bene al make up creativo.
Lui si guardò allo specchio e gli si illuminò il viso. Si girò verso di lei e questa volta con sguardo diverso, con un sorriso di gratitudine, e lei lo percepì.
Vabbè, è un caso umano ma pare innocuo”.
⁃    Sono soddisfatto e mia moglie ne sarà felice. Li compro tutti. “Mangerò fagioli in scatola per il prossimo mese”.
Lucrezia era quasi incredula perché non capita tutti i giorni di incontrare clienti così generosi e anche così veloci nelle decisioni. Per lo stupore le scappo una risata, era quasi liberatoria dopo l’imbarazzo provato lì dentro e, di rimando, rise anche lui.
Lui pagò quanto richiesto, la salutò e con quel trucco magnifico andò in salotto, pronto per indossare la sua vestaglia e far impazzire il suo pubblico immaginario.

“Life’s just much too hard today,”
 I hear ev’ry mother say…