Anatroccolo

di Chiara LadyTora

 

C’era una volta un brutto anatroccolo, che poi tanto anatroccolo non era, ormai era un ragazzo e andava all’università. Purtroppo a lui non era accaduto ciò che succede nelle fiabe e non si era trasformato. Se si guardava allo specchio continuava a vedersi brutto, i cigni lo ignoravano e anche gli altri animali dello stagno non lo consideravano molto.
Anatroccolo era così bruttino che quello era diventato il suo nome per tutti, forse nessuno ricordava più come si chiamasse davvero. Lui all’inizio ne soffriva tanto, poi si abituò e fu quasi felice di essere diverso, pressoché unico.
Le sue giornate scorrevano tra lezioni, biblioteca e cinema.
Adorava il cinema, riusciva a immergersi così tanto nella storia da sentirsi, a volte, parte del film, magari il bello di turno che salva il mondo e fa innamorare la bellissima della storia. Amava sedersi dietro, negli ultimi posti, e guardare la proiezione e la gente che viveva la propria vita intorno a lui.
Durante uno di questi pomeriggi, nel cinema, entrò un cigno. Non un cigno qualunque, bianco, candido e tutta quella roba lì. Niente di tutto ciò. Era un cigno nero, un bellissimo cigno dalla pelle nera. Lo ammirò in silenzio. L’osservò fino a quando non lo vide prendere posto e attese dopo la fine del film che le luci si riaccendessero, solo per vederlo passare di nuovo e ammirarne la regale camminata.
Quel bellissimo esemplare di cigno femmina non l’aveva degnato di sguardo ma lui non ne era rimasto turbato, era abituato e gli sembrò normale fosse così. Pensò al cigno nero per tutta la sera, per strada, al fast food, almeno fino a quando non arrivò il suo hamburger con patatine e formaggio.
Il giorno dopo si presentò a lezione leggermente più tardi, abbastanza per non riuscire a sedersi avanti, ai primi posti e gli toccò sistemarsi dietro, a terra, con il suo portatile sulle ginocchia. Quando era intento a sistemare tutto sulle sue gambe, qualcuno accanto a lui cercò di attirare la sua attenzione, a bassa voce.
⁃    Scusami.
Il cigno nero era lì e si rivolgeva proprio a lui. No, non poteva essere, forse si era confusa, forse era lui che non stava bene. Ecco, sicuramente era quello perché sapeva che in quel periodo girava l’influenza. Certo, non aveva sentito di un’influenza che dà stati allucinatori di quel genere ma magari lui era l’unico caso su milioni.
⁃    Scusami, mi senti? Non farmi urlare!
⁃    Ce l’hai con me?
⁃    E con chi se no? Ti sto guardando!
⁃    Già…
⁃    Mi hanno detto che tu hai gli appunti di tutte le lezioni e di rivolgermi a te che sei una persona disponibile. Me li passeresti?
⁃    Va bene, dammi la tua mail e ti invio tutto stasera.
⁃    Niente mail, preferirei copiare a mano. Se per te va bene possiamo vederci dopo lezione, magari poi andiamo al cinema, dovrebbe piacerti, giusto? Ieri ti ho visto. Naturalmente offro io!
Il cigno nero l’aveva notato nel cinema, non gli pareva vero. Stava per arrivare la fine del mondo? Era la sua giornata fortunata? Era ancora a letto e stava sognando?
Si misero d’accordo sul dopo lezione e cessarono di parlare per concentrarsi su quello che diceva il professore. Lui però non riusciva a prendere appunti, il suo cuore faceva troppo rumore e anche le orecchie non scherzavano con tutto quel ronzio.

Si trovarono a casa di lei: una bella casa di un bel palazzo, con una bella mamma, bei mobili, bel papà e anche bel cane. Sembrava tutto terribilmente perfetto, lui si sentiva una nota stonata in un mondo tutto rosa eppure, forse per la prima volta nella sua vita, non si sentiva ignorato, anzi: lei lo ascoltava assorta; la madre di lei, dopo aver portato due toast, si era fermata ad ascoltare con interesse. Una volta tanto non si percepiva trasparente nel mondo e, caso strano, stava succedendo in un posto in cui tutti erano bellissimi.
Il pomeriggio trascorse sereno tra appunti, spremute d’arancia e toast al prosciutto. Ogni cosa era stata bella e a lui venne il timore che di lì a poco starebbe svanito tutto, come un sogno dimenticato subito dopo il risveglio. Quando terminarono tutte le loro cose si prepararono e uscirono, come fossero amici da una vita, come se quella strada l’avessero percorsa sempre insieme. Lui era un po’ goffo ma senza complessi, la sua bruttezza era parte di sé, così come lo era la magrezza estrema, il suo naso grande e il suo mento sporgente. Lui non sarebbe stato quel che era se non avesse avuto quelle caratteristiche. Magari sarebbe stato più fortunato, avrebbe fatto parte dello stagno, sarebbe uscito coi cigni ma non sapeva se sarebbe stato bello davvero, non che pensasse fosse brutto far parte dei nobili del lago ma non poteva saperlo e ormai il problema non si poneva più.
Il cigno nero camminava accanto a lui, un cigno di nome Maja, si vedeva che era abituata a essere la regina dello stagno, si muoveva tranquilla e sicura e sembrava non badare all’essere che era lui.
Entrarono nel cinema appena in tempo, stavano per spegnersi le luci ed entrambi si sedettero spontaneamente nei posti dietro e forse ebbero lo stesso pensiero di sorpresa per la comune scelta perché si guardarono e sorrisero felici.
Sullo schermo scorrevano le immagini e a lui venne una gran voglia di prenderle la mano e prima che lo facesse sentì le dita di lei sfiorare le sue. Si girò e vide il bianco dei suoi occhi scintillare al buio e poi vide anche il bianco dei suoi denti che illuminavano il suo sorriso e che sparì appena chiuse la bocca per avvicinarla a quella di lui. Si baciarono e non badarono più al film e a quello che accadeva intorno. Continuarono anche quando si riaccesero le luci e la gente iniziò a uscire.
Il brutto Anatroccolo l’accompagnò fin sotto casa e aspettò che lei rientrasse, poi si si avviò verso la sua, questa volta meno curvo e con una scintilla di vita più vivace negli occhi. Sentiva qualcosa dentro di sé che mai aveva provato prima di allora. Era felice, innamorato (forse), non sapeva ma il solo pensiero di ritrovarla il giorno dopo gli dava una carica che non sentiva da tempo. E poi camminava e fantasticava sui pomeriggi che avrebbero passato insieme a studiare, baciarsi, al cinema, alle discussioni dopo i cineforum, le pizze e le maratone notturne di telefilm. Finalmente poteva dire anche lui di appartenere a qualcosa, forse indefinito, ma tanto la definizione non avrebbe dato più importanza a ciò che era accaduto.
Il giorno seguente incontrò nuovamente Maja che lo salutò come niente fosse accaduto il giorno prima. Lui voleva chiedere cosa fossero adesso, perché proprio non lo sapeva ma non voleva fare la figura dello stupido. Attese un suo cenno a lezione, poi fuori dall’aula ma niente. Forse il giorno prima era stata solo illusione.
Vide il suo cigno nero passare accompagnato da altri cigni, forse c’era anche qualche pavone che faceva la ruota con la coda. Sembravano tutti volatili in amore. Lui rimase lì a guardarli mentre loro passavano e con sguardi di intesa ridacchiavano.
Uno dei suoi compagni di corso, forse quello con meno peli sulla lingua, si avvicinò ad Anatroccolo e senza giri di parole gli disse – Ci sei cascato, eh?! Mi hai fatto perdere dieci euro! -.
Lui non capiva, lo guardò stranito.
⁃    Dovevi proprio credere che quella ci sarebbe stata con te? Ti schifava e ha scommesso che sarebbe riuscita a uscire comunque e a passare una serata in tua compagnia. Abbiamo perso in molti.
Lui continuava a non capire, la sua testa era piena di emozioni che si accavallavano: di amarezza, rabbia, delusione e incredulità. Non poteva essere. Non potevano essere così crudeli le persone. Poi lui cosa aveva fatto di male per meritare tutto questo?
Anatroccolo si allontanò dalla facoltà. Camminava dritto per la sua strada, ogni risata pensava fosse rivolta a lui. Rientrò in casa, un monolocale in affitto, che i suoi giù al paese pagavano facendo salti mortali. Si guardò allo specchio.  La sua immagine era peggio di quello che pensava in quel momento. Come aveva potuto immaginare, anche per un solo momento, di poter entrare nelle grazie di un cigno?
Anatroccolo ormai non vedeva più se stesso per quello che era, vedeva quel che gli altri gli avevano fatto credere che fosse.
Uscì di casa, in fretta, come una furia. Entrò nel parco e andò vicino al piccolo lago artificiale. Guardò i suoi abitanti: cigni, anatre e un’infinità di altri animali. Anatroccolo si lasciò andare, senza muovere le zampe e senza sbattere le ali, gli altri uccelli del lago non badarono a lui, continuarono a nuotare: i cigni con i cigni e le anatre con le anatre.