MAURO

di Matteo Scognamiglio

D’un tratto Mauro si accorse di non essere un uomo, ma una donna.
Non gliene era mai fregato più di tanto del sesso, però… adesso gli/le toccava vedere le cose da un’altra prospettiva.
Prima di tutto decise di cambiare il suo nome in Maura dato che s’era chiamato Mauro per molti anni e passare subito a un nome del tutto nuovo non ci sarebbe riuscito (riuscita?).
Prese la carta d’identità, la patente e gli altri documenti che aveva in giro per la cucina, una penna nera e calcò sul suo nome una A al posto della O su tutti i documenti.
A quel punto voleva cambiare anche il suo cognome, ma non se lo ricordava.
Poi accavallò le gambe, si alzò dalla sedia e iniziò a pensare che forse avrebbe dovuto cambiare anche il guardaroba.
«Ma perché dovrei? I vestiti non hanno sesso!» pensò subitaneamente.
«A me del sesso non m’è mai fregato nulla, neanche adesso. Per quale motivo dovrei farmi tutti ‘sti problemi ? Ora sono una donna e nella mia vita non cambierà un bel niente!».
Mentre continuava a pensare si ritrovò seduta sul divano, davanti a lei la televisione accesa.
La televisione trasmetteva un’intervista a un allenatore di calcio francese che parlava in italiano.
Rimane incantata a vederla per più di due ore.
Non aveva intenzione di addormentarsi e aveva progettato di non andare a lavorare il giorno dopo adducendo come scusa il fatto che era incinta di due settimane.
Telefonò al suo capufficio e gli disse (le disse?) che a causa di una gravidanza inaspettata non si sarebbe potuta recare al lavoro per molto tempo.
Il capufficio ricordò a Mauro che era stato licenziato più di un anno fa.
«Ma io adesso sono Maura, non Mauro!».
«Sei licenziata, Maura».
Maura si arrabbiò e scagliò violentemente il telefono contro la televisione del salone, il telefono era di quelli grigi, in bachelite e disco, si fracassò in molti pezzi.
Maura rimase a guardare quei pezzi per più di dieci minuti, poi iniziò a grattarsi il gomito destro e poi cominciò a grattarsi il gomito destro, mordersi le labbra e piangere.
Stava scoprendo che essere una donna è qualcosa che non poteva completamente ignorare.
La sua vita ormai era già cambiata, e da ben otto ore!
Dopo qualche minuto sua madre bussò alla porta e lei aprì.
La madre di Maura non si accorse del nuovo sesso del figlio e Maura ci rimase un po’ male.
Il fatto che poi la madre lo/la chiamasse da più di dieci anni Eleonoro era secondario.
Le nevrosi di Maura caracollarono, lei confessò «Mamma, io sono una donna!».
«E la gonna dov’è?» rispose lei, celermente.
Maura rimase molto sorpresa dalla risposta della sua procreatrice. Era un atteggiamento che non le apparteneva e un terribile sospetto si insidiò dentro di lui. Lei.
«Mamma… tu sei diventata un uomo!».
«Ma che stai dicendo, Eleonoro? Certo che no!».
«Ah. Ok».
«Perché hai pensato che io fossi un uomo?».
«Non saprei dirtelo, sono sempre stato una frana nel notare le differenze tra uomo e donna… ma ho avuto un presentimento fortissimo e ho pensato che magari eri diventata un uomo».
«Ma come si fa a diventare un uomo?».
Maura si guardò attorno alla ricerca dei pezzi del telefono rotto. Dopo quattro minuti li trovò.
Tornò in cucina dalla madre che intanto s’era seduta senza accavallare le gambe.
«Come si fa a diventare un uomo? Beh, bisognerebbe chiederlo a Bob Dylan!».
Entrambe scoppiarono in una fragorosa risata e risero come mai era successo prima di allora, cioè con i denti.
Si emozionarono come ossessi e si guardarono per tre minuti negli occhi e iniziarono a baciarsi.
Fu un gesto spontaneo e pieno di rivendicazioni sindacali, ma a nessuna delle due sembrava importargliene.
Una serie lunga, immensa e romantica di baci, quasi mezz’ora di baci appassionati.
Quando la smisero si guardarono negli occhi e andarono a prendere i pezzi del telefono rotto.
«Domani telefonerò al tuo capufficio – disse la madre – e lo convincerò a farti riassumere».
Maura quasi trasecolò «Come fai a sapere che mi hanno licenziata?».
«È da un anno che non lavori. E poi il capufficio sono io».
«La capufficia, semmai».
Iniziarono a ridere fino a far tremare le pareti bianche della cucina, in modo sguaiato e irsuto.
Maura rise fino alle lacrime, accavallando le gambe più volte.
La madre smise di ridere prima di lei, ma per non imbarazzarla continuò a ridere per finta.
Dopo un po’ la madre uscì dalla cucina e andò a telefonare al suo capufficio.
Maura la vide e per lo sconcerto accavallò le gambe tirando sei sospiri di sollievo.
Corse velocemente verso la madre e la prese per la giacca «Ma che stai facendo?».
La madre «Capufficia».
Maura iniziò a ridere di nuovo e ammettendo a se stessa la sconfitta tornò mestamente a sedersi sul divano e guardò la replica dell’intervista all’allenatore francese.
«Ora sono una donna – pensò – chissà se il regolamento mi consente di continuare ad allenare questa squadra».
Dopo pochi minuti Maura si annoiò e diede fuoco al divano. La madre se ne accorse e iniziò a ridere.
Le due s’incontrarono nel corridoio e iniziarono a parlare di cosa significava essere un uomo per davvero, mentre oramai il salone era invaso dalle fiamme.
Il fuoco smise di ardere dopo mezz’ora. Maura e sua madre continuarono comunque a guardarlo per un’ora. Poi s’abbracciarono e tornarono con un salto su Italia Uno.