di Chiara (L’EditorA)

Sono una creatura

Lo ricordo il tuo sguardo quando arrivò quel messaggio sul tuo telefono “Voglio vederti invecchiare, voglio che tu stia con me”.
Ricordo il tuo sguardo imbarazzato che non sapeva dove guardare, le tue guance arrossate e quel sorriso, trattenuto a stenti, perché il tuo orgoglio non poteva permetterti di farti vedere felice. Il tuo cinismo non poteva mostrare il tuo lato umano e fragile.
Chissà poi cos’è successo dopo quel momento. Ti persi di vista, per ritrovarti poi sola, col tuo solito sguardo duro, anche se ormai sapevo che era solo la copertina da mostrare al mondo. Dentro non eri un romanzo di guerra e sangue; dentro eri un romanzo d’amore, tragico e senza lieto fine. Dentro di te c’era la consapevolezza di quella vita iniziata sbagliata fin dal giorno in cui vedesti la luce.
Figlia arrivata per sbaglio e per noia. Figlia non molto amata, sempre in cerca di attenzioni e di affetto.
Adolescente complicata, in conflitto con un corpo che non sentivi tuo, in lotta col cibo che entrava nel tuo stomaco e non veniva digerito. Vomitavi il cibo e vomitavi il tuo disgusto verso quella vita di merda. Vomitavi la rabbia di non essere stata desiderata e non essere stata amata. Vomitavi quel fardello di sofferenza che ti saresti portata appresso durante la tua vita di giovane donna.
Giovane donna in mezzo a relazioni sbagliate. Sempre più rigida con te stessa e con gli altri.  Sempre attenta a non mostrare troppe emozioni, per paura che ti si potesse ritorcere contro. Sempre in guerra e sempre sospettosa. Sempre incazzata col mondo e con la vita.
Ti guardo mentre ancora tra le mani hai quel telefono. Hai deciso di rimanere sola, non ti sentivi tagliata per una vita a due e io lo compresi, in fondo ero anch’io un po’ come te, solo che la mia strada era diversa o forse è stata solo una vita più tranquilla a darmi la sicurezza di poter osare.
Che parola strana “osare”, quando si parla di metter su una vita a due, ma a volte credo proprio sia così, si osa e si rischia, può andar bene o forse no ma in fondo che importa, tanto finisce tutto allo stesso modo.
Ti guardo, hai gli occhi lucidi, so cosa pensi. Un pochino ti tenta ma sai che non durerebbe, un estraneo per casa (così dici tu) non lo vuoi, se vedessi la tavoletta del cesso alzata lo butteresti fuori anche in piena notte.
Ecco che viene fuori anche quella ruga d’espressione, quel taglietto in mezzo alla fronte, esce ogni volta che aggrotti le sopracciglia e succede spesso perché , a differenza di quel che pensi, sei un libro aperto e il tuo dissenso te lo si legge in faccia di continuo.
Ti suggerisco di chiamarlo e tu mi guardi stizzita, come se ti avessi detto chissà cosa, eppure so che ci penserai, che questa notte ti tormenterai e chissà, forse piangerai anche, per questo messaggio, per tutta la tua vita, per tutto il tuo dolore.
Ti rannicchierai nel letto, stringerai forte gli occhi, come quando da piccola volevi vedere le stelline al buio e spererai che l’indomani non ci sia alba, che la vita finisca senza clamori e senza dolori. Invece no, domani ti risveglierai. Sempre incazzata, con le tue rughe d’espressione e il tuo dissenso sul volto. Risponderai a quel messaggio con un ironico-cinico “Suca!” e andrai per la tua strada.

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

(da Sono una creatura – G. Ungaretti)