Un racconto dell’EditorA

Si piegava, si curvava e assorbiva, ma non si spezzava.
Sapeva bene come reagire ai colpi che la vita le tirava e anche quella volta fu pronta. Così pensava lei…
Era stata tradita, come nel più banale romanzo tascabile da leggere in spiaggia. L’aveva tradita proprio lui, quel lurido pezzo di merda che era il suo compagno fedele (era fedele!) e che era caduto tra le braccia della sua migliore amica. Non di lei, come succede sempre in quei romanzi lì, ma di lui. Quell’amica di lui che destava nessun sospetto, nessuno spasmo di gelosia, proprio lei. Quella che avrebbe potuto anche dormire a casa loro mentre lei era assente, senza gelosie e senza pensieri.
Lo seppe così, in un momento di trasporto, quando lui doveva svuotarsi coscienza e palle. Glielo confessò e lei rimase lì, così, in silenzio.
Già, il cuore scoppiava, la voglia di rompergli la testa con quel vaso di merda dell’ingresso c’era, eppure fece niente. Stette lì così, a guardarlo. Forse parlavano i suoi occhi per lei, forse erano in grado di urlare un dolore sordo che mai e poi mai avrebbe potuto immaginare di sentire.
Era stata sempre pronta quando a essere tradite erano le sue amiche. Lei, sempre battagliera, consigliava il calcio in culo e via, fuori dalla porta di casa e dalla vita. Ma ora era lei ad aver subito il colpo, era lei quell’anima in pena che avrebbe voluto piangere, correre in braccio alla mamma e sperare passasse tutto con un bacino sulla bua.
Lo guardava, guardava il traditore mentre parlava con voce sommessa, mentre quasi piangeva. E più vedeva quel volto addolorato e più a lei montava la rabbia; una rabbia sorda, disperata. Cos’aveva fatto per meritare questo? Era sicura di aver fatto niente di male, di avergli dato ogni briciola della sua anima ma a quanto pare non era bastato a fargli tenere a bada l’uccello.
Nel suo momento pulizie primaverili di coscienza aveva esordito con “vorrei parlarti della mia situazione sentimentale…”
E a lei era scappato un sorriso e aveva pensato “Chissà cosa si inventerà, in fondo sono cinque anni che dividiamo vita, affitto e sentimenti”.
Invece no, voleva proprio parlare della sua, di lui, situazione sentimentale, di quest’amica innamoratissima e disperata, che lo amava alla follia anche se non corrisposta e alla quale lui non ha saputo più dire di no.
⁃    “E adesso? Che faccio adesso? Dove scappo, dopo vado a fracassarmi la faccia, davanti a quale muro? Sicuramente il dolore sarà meno forte…”
Niente.
Alla fine i nervi iniziarono a cedere e le venne spontaneo inginocchiarsi a terra e rannicchiarsi.
Lui fece per abbracciarla e a lei venne un fortissimo impulso di repulsione, misto a odio e rabbia che la fece scattare come un gatto selvatico. Cercò di graffiarlo ma lui si ritrasse (pezzo di merda e anche codardo).
Lei tornò nella sua posizione fetale e lui, spazientito, decise di andar via, di lasciarla sola quella notte e smaltire quella “futile incazzatura”.
Lui prese una busta dell’Eurospin e andò in camera a prendere un cambio per la mattina dopo, con poca cura ma tanto… Chi ci pensava in quel momento a coordinare anche i vestiti, oltre ai pensieri che andavano per fatti loro. Finì di riempire quell’improbabile bagaglio e andò. Chiuse la porta dietro di lei ancora rannicchiata a terra.
Ora era sola. Sola coi suoi mostri e i suoi fantasmi. Cosa fare? Trascinarsi a letto o rimanere lì?
“Cazzo, vogliamo conservare un po’ di dignità?”
Si trascinò fino al letto, neanche lei sapeva com’era riuscita, aveva gli occhi così gonfi che tutto sembrava sfocato. E poi quella voglia di sparire, di diventare trasparente le toglieva ogni forza…
Si buttò sul letto, senza la sua solita cura, ma si buttò proprio così come stava e si addormentò.
Non sognò quella notte, o così le sembrò e visti i presupposti, forse era meglio così.
Quella mattina si svegliò presto. Preferì non guardarsi allo specchio: uno spettacolo di merda in meno.
Si sentì stranamente leggera, eppure non avrebbe dovuto dopo quello che aveva sentito il giorno prima.
Sorrise.
Pensò a un verso de L’infinito

Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Andò in cucina, prese una sigaretta sul tavolo, la portò lentamente alla bocca, l’accese e la gustò fino alla fine.
Da un cassetto prese un sacco nero, uno di quelli per la spazzatura condominiale.
Andò in camera, aprì l’armadio. Mise tutti gli abiti di lui nel sacco, più altre cianfrusaglie trovate qui e lì in camera e in bagno e andò giù. Buttò tutto nel cassonetto e mise la parola fine a quella bella storia d’amore

Per un po’ forse continuerò a urlare il tuo nome a me stesso, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà. (David Grosmann)