Il Brigante di Tacca del Lupo di Alessandro De Leo.

In anni in cui la storia delle vicende risorgimentali veniva descritta ma, soprattutto, imposta come una lunga battaglia per la liberazione dello stivale italiano, un film, datato 1952, comincia a lacerarne le lodi e a tesserne le giuste critiche che sono alla base di quella revisione che, finalmente, sta prendendo sempre più piede nelle coscienze di molti.

Il film in questione è Il brigante di Tacca del Lupo, diretto dal genovese (ma amante del sud) Pietro Germi. Concepito come un western alla John Ford (genere e regista che Germi apprezzava), il film, girato tra la Basilicata e la Calabria, narra la vicenda del Capitano Giordani, interpretato da Amedeo Nazzari, che, dopo l’unità d’Italia, viene inviato in Basilicata per reprimere il brigantaggio. Si trova, quindi, a dare la caccia al brigante Raffa Raffa. Viene aiutato, per questo motivo, dal capo della polizia Siceli (Saro Urzì).

Per Germi, però, non si tratta di una guerra di liberazione, come la storia ufficiale ci ha sempre falsamente raccontato, ma semplicemente e tragicamente di un’invasione, da parte dei piemontesi, di una terra che non li voleva.

Anche se il finale appare piuttosto edulcorato, la frase di un brigante (ex soldato borbonico) morente, fa capire quello che è stato fatto per “unire” l’Italia e lascia presagire quello che sarebbe accaduto dopo: “…lei ha fatto il suo dovere, io il mio… buona fortuna a lei… e all’Italia…”.

Di fortuna l’Italia del sud, ne ha avuta ben poca.