di Chichi e Romeo

È inutile negarlo, tutta la nostra vita gira intorno alla morte, tutto è in sua funzione. Facciamo spesso finta di dimenticarcelo, mentre ci affanniamo nei rituali della quotidianità, o mentre facciamo scongiuri scemi e cambiamo argomento se qualcuno introduce il discorso.

Si dovrebbe vivere per affrontare la nostra ora leggeri e sereni, per aver fatto tutto ciò che si è potuto, ma i più restano attoniti, impreparati e sgomenti.
L’oscura signora, che iconograficamente immaginiamo come una figura scheletrica che brandisce una falce, ci attira e respinge al tempo stesso, e molti di noi ricorderanno il trauma del primo approccio con la morte, in tenera età, l’angoscia per la vista di un enorme dolore che trapela dai volti e dai gesti, che resta inspiegabile nelle risposte vaghe alle nostre domande di bambini. E se provassimo a spiegarla, la Morte? A renderla inusuale, quasi una sorpresa? Se poi togliessimo il sacro, le storielle edificanti, le scuse assurde del perché si muore, pur lasciando un’idea di serenità e, perché no, una speranza? Perché ai bambini ciò che non bisogna togliere è la speranza, mai.

I bambini hanno l’innocenza e l’animo gentile che sono il vero bene del mondo, vivono una dimensione che fonde realtà e fantasia. Se morire significasse solo cambiare punto di vista? Star qui invece che lì o lì invece che qui. O restare vivi nel cuore e nella memoria di chi rimane, per esempio, al di là dell’alternarsi delle stagioni e del ciclo della vita. Essere o forse no, ma col risultato che niente cambia, e alla fine non è vero che vogliamo sapere davvero se dopo c’è qualcosa, perché comunque non possiamo saperlo né lo sapremo.
Perché noi viviamo la vita e questo è quanto.