Ateotelico di Carla Corsetti.

Estratto dal libro A come ateotelica.

[…] La tutela della condizione personale del pensiero è un diritto primario irrinunciabile. Tuttavia, individuare questo diritto umano e le modalità per tutelarlo non è ancora sufficiente. È necessario far sì che il piano personale e individuale resti circoscritto nella sfera privata e che in nessun caso possa debordare nella sfera pubblica, la quale necessita piuttosto della condivisione delle differenze. Dunque il diritto di credere e il diritto di non credere devono tenere conto del piano politico. Occorre andare oltre.
Noi tutti abbiamo bisogno di definizioni per dare comunicazione e contorno alle nostre elaborazioni concettuali. […] Ma spesso non c’è identità nei percorsi e non c’è identità nei linguaggi e talvolta le strade cambiano direzione e si avventurano in esplorazioni comunicative inedite.
Nuovi termini aprono gli spazi a nuove ipotesi di qualificazione, magari già esistenti nella concettualizzazione, ma non ancora completati nella dinamica della comunicazione. Alcuni condividono l’ateismo e condividono l’idea che con i percorsi della trascendenza, sia opportuno o arricchente scambiare discussioni, nella convinzione che gli uni possano trarre utilità speculativa dal confronto con gli altri, ma anche nella più o meno segreta aspettativa di mutare i convincimenti altrui.
Altri invece, condividono l’ateismo, ma dissentono dall’idea che con la trascendenza sia percorribile una qualche forma di scambio, non per supponenza ma per assenza di stimoli.
Un nuovo termine può definirli: ATEOTELICI, ovvero coloro che dal dibattito pubblico sulla divinità escludono qualunque ipotesi di interesse.
Ciò non toglie che ciascuno possa attingere a una riflessione personale e privata, ma l’ateotelico non trova affatto illuminante condividerla pubblicamente. Pubblico e privato tornano prepotentemente a fare la differenza tra coloro che vogliono condividere con gli altri i propri convincimenti e coloro che non sono interessati a farlo. Il contesto determina la qualificazione se sia lecito o prevaricante l’espressione del proprio convincimento.
L’ateotelico in definitiva non è mai in dissonanza con nessun contesto perché nel rispetto della differenza sottrae alla
discussione pubblica il suo privato.
L’ateotelico non convince, non dibatte, non si confronta con i suoi competitori perché trova sterile farlo. In definitiva, per l’ateotelico tentare di convincere i propri antagonisti sulla preminenza dei propri convincimenti, significa offenderli, significa non riconoscere loro una autonomia di giudizio o di capacità concettuale, significa avere disprezzo per i convincimenti altrui e forzarne la riflessione su quanto possa, ai propri occhi, sembrare contraddittorio o infondato.
All’ateotelico interessa prioritariamente ed esclusivamente che lo Stato non aderisca a nessuna particolare condizione del pensiero e che riaffermi costantemente la propria neutralità e la propria astensione.
È in questo essenziale assunto che l’ateotelico chiede una universale sottoscrizione, anche ai suoi antagonisti, perché
l’adesione al principio di laicità non ha bisogno di passare attraverso dibattiti o interpretazioni; o si aderisce o si nega.